«Proteggiti dai cigni neri, gli eventi rari che, quando si verificano, ti procurano danni enormi». La prima regola del buon risk manager trova molte applicazioni nella previdenza obbligatoria. È un'area più critica di quella integrativa, che pesa ancora poco e per lo più trasferisce il rischio finanziario sui singoli iscritti. Dalla solvibilità dell'Inps, degli enti di previdenza pubblici e delle casse autonome dipende invece il benessere futuro di decine di milioni di cittadini.
La solvibilità dell'Inps e degli enti pubblici è fondata sul bilancio entrate-uscite e sui trasferimenti dallo Stato. Quindi chiunque vanti dei crediti previdenziali deve sperare che l'economia italiana riesca a crescere in misura sufficiente da garantire le future obbligazioni (tramite i contributi e le tasse). Una misura approssimativa di questa capacità è data dal rating assegnato da agenzie specializzate al
debito pubblico italiano. Nel caso di Moody's, questo è di Aa2, e statisticamente equivale a zero probabilità di default da qui a dieci anni (su un campione che però è ancora limitato).
Più complessa è la stima della solvibilità delle casse autonome private. Qui, al netto dei più che probabili salvataggi di Stato in caso di insolvenza, i fattori di rischio sono: 1 - il rapporto tra contribuenti e pensionati, a sua volta funzione dell'andamento economico del settore di riferimento. Alcuni di questi appaiono stabili: possiamo immaginarci un futuro con molti meno medici? O molti meno notai? Altri, come quello dei giornalisti, sono legati alle fortune e sfortune di specifici comparti industriali. 2 - La variabilità dei risultati reali della gestione finanziaria dei loro attivi: fino a oggi la politica di investimento è stata prudente, ma la legittima ricerca di rendimenti più alti presenta delle ovvie insidie. 3 - La speranza di vita degli iscritti, che si allunga a beneficio di tutti noi, ma non per gli equilibri delle casse di previdenza.
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